lunedì 3 settembre 2012

Gilles Clément “Breve storia del giardino” Quodlibet, 2012


In questo nuovo libro, “Breve storia del giardino” Quodlibet, 2012, Gilles Clément cerca di contemplare un dialogo con il giardino nelle sue forme storico-tradizionali e diciamo contemplare, poiché comunque il dialogo sembra fissato in una cornice e appeso al muro. L’ecologista francese vuole affermare con pienezza la necessità per la nostra epoca di proteggere e salvaguardare la terra tutta e non le certo ridicole porzioni recintate che chiamiamo giardino. E non credo esista qualcuno che voglia criticare la necessità di cambiare rotta, di modificare la nostra idea di giardino affinché essa si apra anche verso tematiche che pongano attenzione alla biodiversità, utilizzando solo le forme che ad essa non si oppongano.

Ma quello che proprio non crediamo sia accettabile è come l’amore per la diversità in natura diventi odio per la diversità nella cultura. Ci chiediamo come sia possibile che in nome della natura si chieda di considerare come scellerate tutte le forme del giardino (dai recinti alle aiuole, dai muri alle forma architettoniche ivi alloggiate, e in generale a tutte le forme che nel giardino hanno trovato il loro luogo specifico di attuazione). Siamo in presenza dell’ennesimo tentativo di contrapporre due cose diverse per sceglierne una sola e si pensi soltanto a quella che nel contrapporre l’Occidente all’Oriente, in dipendenza della passione dell’interpretante, ne innalza una come eccellente a scapito dell’altra di cui si rilevano solo orrori (François Jullien, ad esempio, non ne è certo esente).

Dicevamo che siamo assolutamente d’accordo sulle necessità che Clément instancabilmente solleva di salvaguardia e cambio di rotta nella gestione del patrimonio naturale con le conseguenti nuove direzioni progettuali per i giardini. Ma non a bollare come nefaste ed erronee le concezioni che ci ha consegnato il nostro patrimonio culturale (che Clément ridicolizza senza sosta e critica aspramente). Arriva a dire che la storia del giardino non deve essere più ridotta alla storia delle forma, perché la libertà della natura non le tollera. Che la natura non ne può più di essere domata.

Il suo tentativo di invertire la rotta, issando a bordo anche zavorre di cui farebbe così felicemente a meno come l’arte o le forme dei giardini tradizionali,  naturalmente non gli riesce. Certamente sensibile alle critiche che inevitabilmente devono giungergli da più parti, ha tentato in questo libro di non contrapporsi frontalmente a esse. Ma in che modo ha tentato e il risultato qual è stato? 

La sua predisposizione a sentire la natura in tutti i suoi aspetti  gli fa credere che l’aspetto estetico della faccenda non gli sia estraneo e che dal pulpito artistico lui non possa essere tacciato di escludere l’arte, credendo che essa si possa genericamente individuare in un sentirsi solidale alle cose che si amano.  E lo dimostra con quest’affermazione: “Se in questa Breve storia del giardino non è stata affrontata la dimensione artistica, è perché tale dimensione l’attraversa in profondità e fin nei minimi particolari, tanto che sembra inutile sollevare la questione”. E con questo siano serviti coloro che pensano che la forma – la quale testimonia la capacità dell’arte di disegnare le mappe necessarie della nostra consapevolezza – sia capace di trasmetterci interrogativi continuamente nuovi, che in genere durano più a lungo degli scopi per cui sono state create, veicolando così le indicazioni che svelano nuovi orizzonti semantici e che non pongono in maniera dogmatica la verità del giorno. E la verità del giorno propugnata da Clément è l’ecologia come dominatrice dell’orizzonte artistico. E si sorvoli qui sulla famosa posizione implicita che se tutto è arte niente più lo è, poiché appunto la questione è chiusa. Gilles sbarra le porte alle ragioni intrinseche che hanno dato vita alle millenarie e diversissime forme del giardino.

Non gli riesce nemmeno il connubio artista-giardiniere: “L’artista-giardiniere del giardino ecologico appartiene al giardino, il giardino non gli appartiene; non saprebbe mai trattarlo in base a ordini e convenzioni”. Eppure l’iconoclasta Clément  (che critica, definendoli nostalgici,  coloro che invece “di cercare una verdura coltivata in condizioni accettabili per l’ambiente e per l’uomo” cercano un’immagine) ha appena abbattuto la necessità della forma: “Il regno dei viventi non tollera le forme rigide”. Ecco, ci fermiamo qui: crediamo che escludere le forme tout-court voglia dire servirsi delle parole ‘arte’ e ‘giardino’ per svellerle radicalmente.

                                                                                      Rosa Pierno

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